12 ore di buio

venerdì 3 febbraio 2017

Mockumentary, un genere rinato

Storia di un genere che era nato marginale, anche grazie a un autore italiano, e che ora porta milioni di incasso. Segnando la crisi degli horror “classici”

 

 

 

La sottile linea di confine tra sogno e realtà è alla base del successo globale del genere mockumentary, il finto documentario scelto in particolare modo dagli autori del cinema horror per 


dare un volto realistico e primordiale alla paura. Una delle pietre miliari del genere, sicuramente il caso più noto e conosciuto, è la saga della Strega di Blair, iniziata nel 1999 con l’horror campione di incassi di Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez L’ultimo capitolo è Blair Witch, diretto da Adam Wingard.

Con 250 milioni di dollari incassati in tutto il mondo contro i 60.000 dollari di budget, The Blair Witch Project ha presentato al grande pubblico il genere mockumentary, di cui prima si era registrato soltanto qualche timido esperimento. Alcuni fanno riferimento al film del 1965 The War Game di Peter Watkins, mentre per quanto riguarda il cinema horror spesso si menziona il celebre Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato. La forza di questi film è presentare una storia di finzione come se fosse realmente accaduta, e quindi puntare sull’estetica del documentario con una forma di narrazione che induce nello spettatore una maggiore immedesimazione e quindi un coinvolgimento emotivo più intenso.




In The Blair Witch Project viviamo la misteriosa ricerca della strega di Blair tra i boschi del Maryland attraverso i filmati amatoriali dei tre studenti protagonisti. La piccola videocamera 8mm a colori diventa l’unica alleata che ci permette di scoprire cosa succede. I piani stretti, le corse affannate per fuggire al pericolo invisibile, le inquadrature grezze ed estremamente realistiche, aiutano a creare la giusta tensione che all’epoca ha funzionato al box office. Il sequel ripropone la formula originale, svecchiando le riprese con l’introduzione di nuove tecnologie come il drone e telecamere a mano più moderne, mantenendo tuttavia molto simile la trama e la narrazione.
Tuttavia il mockumentary, spesso legato al termine found footage, ovvero “riprese ritrovate” (spesso negli horror dopo la morte dei protagonisti, NdR) si è diffuso in maniera quasi maniacale grazie al franchise Paranormal Activity, inaugurato da Oren Peli nel 2007. Costato appena 15.000 dollari, questo film horror che raccontava le presenze paranormali notturne registrate all’interno di una casa americana, ha incassato ben 200 milioni, anche grazie ad un’operazione di marketing originale e spaventosa.



Sono seguiti film come Rec, The Bay, ESP- Fenomeni Paranormali, Cloverfield, L’Ultimo Esorcismo, fino al recente successo The Visit, che ha riportato in auge il regista M. Night Shyamalan (Il Sesto Senso). Un elemento fiction trattato come reale e un budget ridotto è la medesima ricetta che sembra funzionare, visti gli oltre 65 milioni incassati da questo film nel 2015. Percepire un fatto come realmente accaduto, soprattutto se si tratta di un omicidio, un rituale macabro o una presenza demoniaca invadente, abbatte la barriera di protezione della finzione.


Gli unici film horror classici che, in termini di incassi, sono stati competitivi con questo genere negli ultimi anni, sono le opere di James Wan come Insidious e The Conjuring che hanno registrato incassi da blockbuster fino a 270 milioni in tutto il mondo.


Fonte: gqitalia.it

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