Storia di un genere che era nato marginale, anche grazie a un autore italiano, e che ora porta milioni di incasso. Segnando la crisi degli horror “classici”
La sottile linea di confine tra sogno e realtà è alla base del
successo globale del genere mockumentary, il finto documentario scelto
in particolare modo dagli autori del cinema horror per
dare un volto
realistico e primordiale alla paura. Una delle pietre miliari del
genere, sicuramente il caso più noto e conosciuto, è la saga della
Strega di Blair, iniziata nel 1999 con l’horror campione di incassi di Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez L’ultimo capitolo è Blair Witch, diretto da Adam Wingard.
Con 250 milioni di dollari incassati in tutto il mondo contro i 60.000 dollari di budget, The Blair Witch Project
ha presentato al grande pubblico il genere mockumentary, di cui prima
si era registrato soltanto qualche timido esperimento. Alcuni fanno
riferimento al film del 1965 The War Game di Peter Watkins, mentre per quanto riguarda il cinema horror spesso si menziona il celebre Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato. La forza di questi film è presentare una storia di finzione come se fosse realmente accaduta,
e quindi puntare sull’estetica del documentario con una forma di
narrazione che induce nello spettatore una maggiore immedesimazione e
quindi un coinvolgimento emotivo più intenso.
In The Blair Witch Project viviamo la misteriosa ricerca della strega di Blair tra i boschi del Maryland attraverso i filmati amatoriali dei tre studenti protagonisti. La piccola videocamera 8mm
a colori diventa l’unica alleata che ci permette di scoprire cosa
succede. I piani stretti, le corse affannate per fuggire al pericolo
invisibile, le inquadrature grezze ed estremamente realistiche, aiutano a
creare la giusta tensione che all’epoca ha funzionato al box office. Il
sequel ripropone la formula originale, svecchiando le riprese con
l’introduzione di nuove tecnologie come il drone e telecamere a mano più
moderne, mantenendo tuttavia molto simile la trama e la narrazione.
Tuttavia il mockumentary, spesso legato al termine found footage,
ovvero “riprese ritrovate” (spesso negli horror dopo la morte dei
protagonisti, NdR) si è diffuso in maniera quasi maniacale grazie al
franchise Paranormal Activity, inaugurato da Oren Peli nel 2007. Costato appena 15.000 dollari, questo film horror
che raccontava le presenze paranormali notturne registrate all’interno
di una casa americana, ha incassato ben 200 milioni, anche grazie ad
un’operazione di marketing originale e spaventosa.
Sono seguiti film come Rec, The Bay, ESP- Fenomeni Paranormali, Cloverfield, L’Ultimo Esorcismo, fino al recente successo The Visit, che ha riportato in auge il regista M. Night Shyamalan
(Il Sesto Senso). Un elemento fiction trattato come reale e un budget
ridotto è la medesima ricetta che sembra funzionare, visti gli oltre 65
milioni incassati da questo film nel 2015. Percepire un fatto come
realmente accaduto, soprattutto se si tratta di un omicidio, un rituale
macabro o una presenza demoniaca invadente, abbatte la barriera di
protezione della finzione.
Gli unici film horror classici che, in termini di incassi, sono stati
competitivi con questo genere negli ultimi anni, sono le opere di James Wan come Insidious e The Conjuring che hanno registrato incassi da blockbuster fino a 270 milioni in tutto il mondo.
Fonte: gqitalia.it
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