I dadi della signora Ripley - PARTE 1
Bene amici, come avete già scoperto in qualche post precedente, ho il vezzo di scrivere. Ciò non fa di me uno scrittore affermato, ma ho avuto qualche bella soddisfazione tramite la scrittura. Quando scrivo mi sento libero: non ho più confini. ne limiti. Ci siamo solo io, la mia testa e il mio monitor. Detto questo, ho pensato che vi facesse piacere leggere uno dei miei racconti horror, contenuto nella mia antologia cartacea "12 ore di buio", pubblicata con YCP nel 2016.
In particolare voglio sottoporre alla vostra attenzione un piccolo assaggio (ne seguiranno altri) di un racconto che ho scritto di getto, una sera d'inverno, mentre fuori si gelava ed io ero con la mia tazza di cioccolata calda davanti al monitor a spremere le meningi per tirar fuori qualcosa di accettabile. E quello che ne è uscito è proprio questo...
I DADI DELLA SIGNORA RIPLEY
«Quella donna sarà la tua
rovina, amico. Dammi retta. Sei qui per giocare a poker, a dadi o a qualsiasi
altro gioco d'azzardo, vero?»
Jack Forrester era un patito del
gioco d'azzardo, ma soprattutto amava giocare ai dadi. Aveva un suo rituale
prima che li tirasse sul tavolo da gioco: ne prendeva uno nella mano sinistra e
lo girava per tre volte fra il pollice e l'indice, come se stesse cercando la
combinazione di una vecchia cassaforte. L'altro lo stringeva forte nell'altra
mano e lo appoggiava sulla palpebra chiusa del suo occhio destro. Di solito il
rituale non aveva alcun effetto positivo sui lanci di Jack, anzi, risultava
essere al massimo dannoso per la sua fortuna e soprattutto per le sue finanze.
Non era ben visto dalla piccola comunità di Jackpot, in Nevada. Forse era
proprio quella città ad averlo instradato al gioco d'azzardo, con le sue
insegne colorate, i suoi casinò e il tintinnio delle slot che esaudivano i
desideri di chi le sapeva sfiorare come amanti, delicate e succubi. Quel 18
agosto del 1996, Jack era salito sulla sua Honda Civic nera e aveva percorso la
US-93 N, guidando fino a Las Vegas. Durante il viaggio pensava che sarebbe
andato tutto bene: avrebbe vinto una piccola fortuna ai dadi nel più grande
casinò della città e avrebbe fatto ritorno a Jackpot sul carro dei vincitori.
Forse in quel modo avrebbe potuto sposare Angie Walters, la ragazza più bella
del paese. Era innamorato di lei fin dall'infanzia e mentre Jack aveva passato
molti pomeriggi a sognare il corpo di Angie nudo e accattivante, lei non gli
aveva mai dato grandi speranze: Jack non era proprio un adone. Basso e minuto,
portava degli occhiali spessi con la montatura di corno che nascondevano degli
insipidi occhi neri. Una barba ispida e incolta gli dava quell'aspetto
trasandato che poco piaceva alle donne, soprattutto a Angie Walters. Ma tutto
sarebbe cambiato, sarebbe cambiato per lei. Dopotutto, Jack aveva solo due
sogni da coronare nella vita: diventare il più grande giocatore di dadi del
mondo e sposare Angie, necessariamente in quest'ordine. Il caldo afoso di quel
pomeriggio non gli dava pace: il termometro digitale della sua auto lo avvisava
che fuori dall'abitacolo vi era una temperatura di 38 gradi, nonostante fossero
le 19 passate.
Jack, ricordati di comprare un
climatizzatore e una piscina nella tua nuova casa da milionario pensò mentre si lasciava alle
spalle un cartello che recitava: Las Vegas 35 miglia. Già, ma se così non fosse
stato? Se per l'ennesima volta si fosse ritrovato sul lastrico, senza poter
pagare l'affitto e senza più un soldo per mangiare? Avrebbe detto addio anche a
quello squallido buco dove viveva, in Keno Drive. Cercò di allontanare i
cattivi pensieri alzando il volume della radio. Gli Aerosmith stavano
cantando la loro Love in an elevator, in cui Steven Tyler parlava di
come fosse bello fare sesso in un ascensore. Ancora 35 miglia e Jack Forrester
avrebbe fatto vedere a tutti di che pasta era fatto.
Prima di approdare a Las Vegas, decise di
visitare Paradise. Erano ancora le 21 e non avrebbe messo piede in nessun
casinò se non fossero passate almeno altre due ore. La notte aiuta i
giocatori che ci sanno fare pensò mentre parcheggiava la Civic di fronte al
"Player Bar", un locale dall'aspetto pulito e ben curato. Il
quartiere era vivo più che mai, con le sue luci al neon, il chiacchiericcio
della gente e i clacson delle auto. Quando scese dalla vettura, un alito d'aria
fresca gli scompigliò i capelli, carezzandolo dolcemente. Gli venne in mente
quando Angie aveva fatto lo stesso durante il funerale di suo padre. L'aveva
stretto a se e gli aveva accarezzato i capelli mentre Jack piangeva a dirotto
dietro gli spessi occhiali con la montatura di corno. Aveva sentito il suo
profumo, dolce ma non stucchevole. La vicinanza di Angie e il suo profumo gli
avevano provocato un'erezione e di questo si era vergognato a morte. Ma,
nonostante suo padre non ci fosse più, portato via da un rapinatore a cui non
era andato a genio il fatto che Antony Forrester avesse provato a reagire al
tentativo di rapina, quella sensazione era l'unica sensazione del mondo. Per
fortuna, Angie non si era accorta di niente e aveva continuato a consolarlo da
buona amica. Quel pensiero che così prepotentemente gli era ritornato in testa
così all'improvviso, gli fece venir voglia di fumare, nonostante avesse smesso
da un pezzo. Si avviò a passo sicuro verso il Player Bar ed entrò spingendo la
porta di acciaio e vetro con su scritto "Se non sei un giocatore, cercati
un altro posto". L'interno del locale soddisfò le aspettative di Jack:
alla sinistra dell'entrata principale si allungava un bancone in pieno stile
western. Alle spalle dello stesso, Jack riconobbe una varietà impressionante di
alcolici e superalcolici. Il barista sembrava di origine ispanica e stava
servendo a una coppia giovane, forse appena sposati, dell'ottimo Kentucky. Le
loro risa felici gli fecero montare dentro una gran rabbia: perché non potevano
esserci lui e Angie seduti a quel bancone, scherzando, ridendo e bevendo
Kentucky? Si ripromise di vincere quella sera al casinò Rainbow di Las Vegas.
Pensava che, se fosse tornato con una fortuna in tasca, gli sarebbe stato più
semplice dire a Angie quello che provava per lei. Ormai aveva 29 anni e poteva
ritenersi fortunato che nessun altro gliel'avesse portata via per sempre. Un
vecchio juke-box nell'angolo sul quale vi era appoggiato un uomo muscoloso e
robusto suonava una vecchia canzone delle Supremes dal titolo You can't hurry in love. Già, il titolo
di quella canzone aveva proprio ragione: non si può avere fretta in amore,
anche se Jack sapeva che senza Angie affianco, tutto il suo mondo non avrebbe
visto più la luce. Si sentì osservato per un attimo: una sensazione molto
sgradevole. Si voltò nuovamente...
CONTINUA...
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