12 ore di buio

venerdì 20 gennaio 2017

Meglio fortunati al gioco o in amore?

I dadi della signora Ripley - PARTE 1

 

Bene amici, come avete già scoperto in qualche post precedente, ho il vezzo di scrivere. Ciò non fa di me uno scrittore affermato, ma ho avuto qualche bella soddisfazione tramite la scrittura. Quando scrivo mi sento libero: non ho più confini. ne limiti. Ci siamo solo io, la mia testa e il mio monitor. Detto questo, ho pensato che vi facesse piacere leggere uno dei miei racconti horror, contenuto nella mia antologia cartacea "12 ore di buio", pubblicata con YCP nel 2016. 
In particolare voglio sottoporre alla vostra attenzione un piccolo assaggio (ne seguiranno altri) di un racconto che ho scritto di getto, una sera d'inverno, mentre fuori si gelava ed io ero con la mia tazza di cioccolata calda davanti al monitor a spremere le meningi per tirar fuori qualcosa di accettabile. E quello che ne è uscito è proprio questo...




I DADI DELLA SIGNORA RIPLEY


  


«Quella donna sarà la tua rovina, amico. Dammi retta. Sei qui per giocare a poker, a dadi o a qualsiasi altro gioco d'azzardo, vero?»



Jack Forrester era un patito del gioco d'azzardo, ma soprattutto amava giocare ai dadi. Aveva un suo rituale prima che li tirasse sul tavolo da gioco: ne prendeva uno nella mano sinistra e lo girava per tre volte fra il pollice e l'indice, come se stesse cercando la combinazione di una vecchia cassaforte. L'altro lo stringeva forte nell'altra mano e lo appoggiava sulla palpebra chiusa del suo occhio destro. Di solito il rituale non aveva alcun effetto positivo sui lanci di Jack, anzi, risultava essere al massimo dannoso per la sua fortuna e soprattutto per le sue finanze. Non era ben visto dalla piccola comunità di Jackpot, in Nevada. Forse era proprio quella città ad averlo instradato al gioco d'azzardo, con le sue insegne colorate, i suoi casinò e il tintinnio delle slot che esaudivano i desideri di chi le sapeva sfiorare come amanti, delicate e succubi. Quel 18 agosto del 1996, Jack era salito sulla sua Honda Civic nera e aveva percorso la US-93 N, guidando fino a Las Vegas. Durante il viaggio pensava che sarebbe andato tutto bene: avrebbe vinto una piccola fortuna ai dadi nel più grande casinò della città e avrebbe fatto ritorno a Jackpot sul carro dei vincitori. Forse in quel modo avrebbe potuto sposare Angie Walters, la ragazza più bella del paese. Era innamorato di lei fin dall'infanzia e mentre Jack aveva passato molti pomeriggi a sognare il corpo di Angie nudo e accattivante, lei non gli aveva mai dato grandi speranze: Jack non era proprio un adone. Basso e minuto, portava degli occhiali spessi con la montatura di corno che nascondevano degli insipidi occhi neri. Una barba ispida e incolta gli dava quell'aspetto trasandato che poco piaceva alle donne, soprattutto a Angie Walters. Ma tutto sarebbe cambiato, sarebbe cambiato per lei. Dopotutto, Jack aveva solo due sogni da coronare nella vita: diventare il più grande giocatore di dadi del mondo e sposare Angie, necessariamente in quest'ordine. Il caldo afoso di quel pomeriggio non gli dava pace: il termometro digitale della sua auto lo avvisava che fuori dall'abitacolo vi era una temperatura di 38 gradi, nonostante fossero le 19 passate.
Jack, ricordati di comprare un climatizzatore e una piscina nella tua nuova casa da milionario pensò mentre si lasciava alle spalle un cartello che recitava: Las Vegas 35 miglia. Già, ma se così non fosse stato? Se per l'ennesima volta si fosse ritrovato sul lastrico, senza poter pagare l'affitto e senza più un soldo per mangiare? Avrebbe detto addio anche a quello squallido buco dove viveva, in Keno Drive. Cercò di allontanare i cattivi pensieri alzando il volume della radio. Gli Aerosmith stavano cantando la loro Love in an elevator, in cui Steven Tyler parlava di come fosse bello fare sesso in un ascensore. Ancora 35 miglia e Jack Forrester avrebbe fatto vedere a tutti di che pasta era fatto.
Prima di approdare a Las Vegas, decise di visitare Paradise. Erano ancora le 21 e non avrebbe messo piede in nessun casinò se non fossero passate almeno altre due ore. La notte aiuta i giocatori che ci sanno fare pensò mentre parcheggiava la Civic di fronte al "Player Bar", un locale dall'aspetto pulito e ben curato. Il quartiere era vivo più che mai, con le sue luci al neon, il chiacchiericcio della gente e i clacson delle auto. Quando scese dalla vettura, un alito d'aria fresca gli scompigliò i capelli, carezzandolo dolcemente. Gli venne in mente quando Angie aveva fatto lo stesso durante il funerale di suo padre. L'aveva stretto a se e gli aveva accarezzato i capelli mentre Jack piangeva a dirotto dietro gli spessi occhiali con la montatura di corno. Aveva sentito il suo profumo, dolce ma non stucchevole. La vicinanza di Angie e il suo profumo gli avevano provocato un'erezione e di questo si era vergognato a morte. Ma, nonostante suo padre non ci fosse più, portato via da un rapinatore a cui non era andato a genio il fatto che Antony Forrester avesse provato a reagire al tentativo di rapina, quella sensazione era l'unica sensazione del mondo. Per fortuna, Angie non si era accorta di niente e aveva continuato a consolarlo da buona amica. Quel pensiero che così prepotentemente gli era ritornato in testa così all'improvviso, gli fece venir voglia di fumare, nonostante avesse smesso da un pezzo. Si avviò a passo sicuro verso il Player Bar ed entrò spingendo la porta di acciaio e vetro con su scritto "Se non sei un giocatore, cercati un altro posto". L'interno del locale soddisfò le aspettative di Jack: alla sinistra dell'entrata principale si allungava un bancone in pieno stile western. Alle spalle dello stesso, Jack riconobbe una varietà impressionante di alcolici e superalcolici. Il barista sembrava di origine ispanica e stava servendo a una coppia giovane, forse appena sposati, dell'ottimo Kentucky. Le loro risa felici gli fecero montare dentro una gran rabbia: perché non potevano esserci lui e Angie seduti a quel bancone, scherzando, ridendo e bevendo Kentucky? Si ripromise di vincere quella sera al casinò Rainbow di Las Vegas. Pensava che, se fosse tornato con una fortuna in tasca, gli sarebbe stato più semplice dire a Angie quello che provava per lei. Ormai aveva 29 anni e poteva ritenersi fortunato che nessun altro gliel'avesse portata via per sempre. Un vecchio juke-box nell'angolo sul quale vi era appoggiato un uomo muscoloso e robusto suonava una vecchia canzone delle Supremes dal titolo You can't hurry in love. Già, il titolo di quella canzone aveva proprio ragione: non si può avere fretta in amore, anche se Jack sapeva che senza Angie affianco, tutto il suo mondo non avrebbe visto più la luce. Si sentì osservato per un attimo: una sensazione molto sgradevole. Si voltò nuovamente...

CONTINUA...




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